Chi sono

In anni recenti mi sta succedendo una cosa strana: molte delle persone che incontro pensano che io viva in qualche luogo di montagna. Non è così. Io sono sempre vissuto a Sesto San Giovanni, storica roccaforte operaia delle periferie industriali milanesi. È vero però che la montagna è una delle mie grandi passioni, eredità di una famiglia di alpinisti.

Robert Adams ha dichiarato anni fa di non riuscire a dedicare più del cinque per cento del suo tempo alla ragione primaria per la quale si è dedicato alla fotografia: essere sul campo a fare fotografie. Ecco, questo in fondo vale anche per me: non riesco a dedicare alla montagna più del cinque per cento del mio tempo. E siccome posso dire lo stesso per il fare fotografie, è andata a finire che sempre più spesso mi trovo a realizzare i miei progetti artistici in montagna, o comunque in mezzo alla natura.

Il resto del tempo lo dedico a molte altre cose, perlopiù legate alla fotografia: l’insegnamento e tutto quello che riguarda la gestione della mia figura come artista (mostre, relazioni con i vari attori del complicato mondo dell’arte, e un sacco di tempo al computer, anche perché mi piace molto studiare). Sono comunque tutte cose molto belle e ho sempre lavorato duramente per riuscire a far sì che diventassero la mia vita. Vi sono anche, va detto, spesso aspetti difficili e duri, ma credo sia meglio concentrarsi sugli aspetti positivi. Ognuno ha i suoi guai, ogni cosa ha i suoi costi.
Incollo qui sotto, oltre ad un testo un po’ particolare, anche un estratto della mia biografia “ufficiale”, e una mia fotografia, in una di quelle occasioni sul campo. Il mio sito, che uso come un archivio agile per chi volesse conoscere i miei lavori, contiene altre informazioni su di me, e vi pubblico i miei lavori quando vengono esposti per la prima volta – ve ne sono altri nel cassetto, come sempre succede.

Val di Mello, 2012

Val di Mello, 2012

Trovate qui di seguito un testo a sfondo autobiografico che ho scritto nel 2012 per un lavoro di Fabrizio Bellomo. Lo inserisco in questa pagina perché credo possa anch’esso essere utile per capire da dove vengo.

A Sesto, che brucia la notte
Ricordo di aver dato questo titolo a un lavoro da studente d’architettura, quando il cielo di questa mia città ancora bruciava delle fiamme arancioni delle colate d’acciaio, e portavo le ragazze in gravi tour notturni nei vialoni deserti e lampeggianti, “li vedi i tombini, vedi come fumano?”. Ricordo – anzi il mio corpo ricorda, per DNA trasmesso – almeno centocinquant’anni di questi luoghi, con il mio cognome prima contadino e poi operaio e infine chissà, e i tris e i bisnonni contadini in cascina qui vicino, famiglie grandi con figli e cavalli e buche piene di neve e odore di terra dappertutto, e mio nonno che passa alla fabbrica e muore giovane, lasciando due figli piccoli e mia nonna rocciosa in fabbrica, operaia anche in guerra, quando il cielo bruciava anche di bombe, coi figli che lavoravano a un’età nella quale oggi i miei li chiamo ancora bambini, e studiare la sera e poi via, operai nelle fabbriche, Breda, Falck, Magneti Marelli, Osva, Gabbioneta, Campari, Pirelli, è come se le avessi viste nascere, e ora anche morire, cambiare, andare. Ma quando guardo dalla finestra qui sotto è come se vedessi ancora passare, come allora, migliaia di tute blu che vanno al lavoro con la sirena del mattino che chiama loro al turno e me alle elementari davanti casa, e più avanti scioperi e terrorismo, Stalingrado d’Italia e volantini delle BR. Negli anni Settanta al liceo si andava a tentoni cercando di capire, il cielo bruciava ancora, verrebbe da dire che si stesse tingendo di rosso ma non è vero, era ancora arancione di fuoco ma la fabbrica stava cominciando a non essere più al centro di tutto, perché io al liceo facevo l’operaio il pomeriggio, ma solo per comprarmi LP di oscure musiche tedesche. La fine di tutto questo è stata in fondo molto rapida, ma non indolore. Ancora oggi, l’immensità delle cosiddette aree dismesse fa tremare i polsi perfino a gente con le palle, come i grandi architetti che ci hanno provato e ci proveranno ancora, ma l’identità vive ancora, come qui si vede bene, più di memorie che di futuri. Fabrizio mi chiede di dire, ed è tutto qui: la scritta “Abbi cura della macchina su cui lavori, è il tuo pane!” il mio DNA l’ha vista da sempre, ed è questo sangue operaio e contadino che mi fa andare in bestia quando vedo certi miei studenti trattare male i loro computer, sporchi, con gli adesivi sopra. Fabrizio trasporta la scritta da un’acciaieria dismessa del sud, fa questo transfert intelligente, la fa emigrare, come già i tanti che vennero, e che in fondo continuano a venire, anche oggi operai, ma di quella bestia strana e infame che chiamano terziario e nuovi mestieri. Fabrizio è svelto, e cammina sul filo di rasoio delle ironie verso i paternalismi così come del senso del tempo. Io guardo il telone, e con me lo guardano mio padre e i miei nonni e bisnonni, e ci diciamo che sì, vale la pena che lo vedano anche i miei figli.

Luca Andreoni

Tra i più attivi e rappresentativi autori della sua generazione in Italia, il lavoro di Luca Andreoni (1961) è riconosciuto e rispettato da tutta la comunità della fotografia contemporanea in Italia. Il suo precoce impegno nel campo artistico della fotografia di paesaggio, supportato da una ricerca scrupolosa quanto poetica, lo ha portato alle intense espressioni dai forti valori simbolici che caratterizzano il suo lavoro, che ha giocato un ruolo cruciale nella transizione tra ciò che consideriamo oggi come ricerche classiche sui temi del paesaggio e il territorio, e le sperimentazioni più aggiornate. La sua opera rigorosa è ben nota nel mondo della fotografia e dell’arte contemporanea e molte prestigiose istituzioni hanno richiesto la sua partecipazione a importanti mostre e pubblicazioni. Le sue fotografie sono state incluse in collezioni importanti, tra cui quelle di proprietà di Deutsche Bank, della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, di Fondazione Fotografia e altre.

Luca Andreoni è anche tra i più importanti e riflessivi professori di fotografia e di storia della fotografia del paese, insegnando in numerose e prestigiose istituzioni italiane, i cui corsi sono stati fondamentali per le ultime generazioni di artisti e di studiosi della fotografia.
Dal 2013 è docente di Fotografia presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo
Dal 2009 è Guest Professor presso il Master universitario in Photography and Visual Design presso NABA, Nuova Accademia di Belle Arti, Milano.
Dal 1990 insegna presso la Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte dell’Università Cattolica di Milano, come docente del “Laboratorio di Fotografia applicata alle opere d’arte”.
Ha tenuto corsi di Fotografia presso Fondazione Fotografia, Modena, l’Accademia di Belle Arti di Bologna e presso l’Accademia di Belle Arti Aldo Galli di Como.
Ha inoltre insegnato in numerosi workshop, per istituzioni quali Fondazione Fotografia, Modena e Fondazione Forma per la Fotografia, Milano. Ha tenuto lectures pubbliche in istituzioni quali il Politecnico di Milano, l’Istituto Italiano di Cultura a Varsavia, Fondazione Fotografia a Modena, e in festival e fiere d’arte.
Dal 2008 al 2013 ha curato in Valle d’Aosta una residenza per giovani artisti rivolta a selezionati studenti di scuole d’arte e fotografia.

 

 

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