Un immaginario già presente

Da: Luca Andreoni <luca@lucandreoni.com>
Data: 29 dicembre 2014 12.07.16 GMT+01.00
A: Andrea Botto <info@andreabotto.it>
Oggetto: 19.06_26.08.1945

Caro Andrea,
il tuo libro mi è arrivato, e aspettavo queste feste per scriverti qualcosa, perché mi ha colpito con sentimenti contrastanti, dunque ne approfitto adesso per dirti qualcosa.
Da un lato ammiro lo sforzo impressionante di raccolta e sistemazione, fatta con grande gusto visivo e fascinazione pura per l’immagine. Sono stato affascinato dal continuo mescolarsi di pubblico e intimo, che manda in tilt le abitudini visive che abbiamo, fino quasi a produrre una specie di ansia – e questa di certo è una forza positiva per questo tuo libro.
E potrei andare avanti ancora negli apprezzamenti (non ultimo il riconoscimento per il lavoro mostruoso che hai fatto nella riproduzione iperrealistica dei documenti). Però penso/spero ti interessi anche qualche critica, che dunque riassumo così:
dove sono le tue fotografie?
Io qui posso tra le righe riconoscere bene la “zampa” del Botto fotografo che stimo e apprezzo sempre… la riconosco nelle scelte, nella cura, nel gusto…
Ma francamente penso che questo lavoro sarebbe stato per me (ripeto: per me, magari solo per me!) ancora più ricco e splendido se tu avessi fatto davvero quel viaggio e avessi fatto le fotografie che sai fare così bene.
Ecco, quello che sento è il silenzio della tua voce più diretta, più sul terreno: quella delle tue fotografie.

Io non so quali siano le ragioni che ti hanno portato a questa scelta, che rispetto ma che mi pare omologarsi un po’ a un trend che mi pare tanto attuale quanto a rischio di usurarsi rapidamente – e che mi pare oltretutto caratteristica delle generazioni più giovani, giovanissime, alle quali (purtroppo!) io di certo non appartengo più ma dalle quali, permettimi, penso che anche tu forse dovresti ormai slegarti (non tanto per ragioni anagrafiche quanto per esperienza e qualità della tua storia). Io vedo soprattutto i pericoli di queste tendenze, e continuo decisamente a sostenere che qualcuno di noi deve pur continuare a provare a produrre immagini, a scattare fotografie senza cavalcare troppo quella che sembra una crisi. Come sai non condivido nel modo più netto le pratiche appropriative tanto diffuse oggi, e forse anche per questo ho accolto il tuo libro con i sentimenti contrastanti di cui ti ho detto. E sapendo benissimo quanto tu sia impegnato proprio sul fronte della produzione, perché di lavori fotografici ne fai molti, e potenti, questa differenza mi ha colpito ancora di più, credo.

Mi fermo qui: ne parleremo meglio, magari quando ci si vede; le parole scritte spesso sono fonte di fraintendimenti e spero di non rischiare che tu ti offenda o ti infastidisca, non è assolutamente mia intenzione, e ti rinnovo la mia stima per la tua figura, che sto vedendo da tempo crescere e rinforzarsi.
Un caro saluto e un abbraccio, ciao!

Luca


Da: Andrea Botto <info@andreabotto.it>
Data: 29 dicembre 2014 19.25.02 GMT+01.00
A: Luca Andreoni <luca@lucandreoni.com>
Oggetto: Re: 19.06_26.08.1945

caro Luca,

grazie per il tuo messaggio e per le tue parole.

sono molto felice anche per la critica, che mi sembra come sempre puntuale e ragionevole.
apprezzo molto la sincerità, soprattutto delle persone e dei colleghi di cui ho stima.

capisco le tue osservazioni e non ti nascondo che sono stato molto combattuto anch’io nella costruzione di questo progetto,
se fosse necessario o no, per me, come persona e come autore, compiere davvero quel viaggio, magari a ritroso, accettando la sfida e il rischio di tornare a casa
anche senza immagini (perché no?).

alla fine ho scelto di non spostarmi fisicamente e che mi interessava lavorare su un immaginario già presente (in questo caso legato alla guerra e al conflitto), che tutti abbiamo dentro e che la fotografia sa così potentemente attivare, funzionando come un interruttore.

se proprio devo trovare un punto a sfavore, potrebbe essere il tempo intercorso tra produzione e pubblicazione.
il progetto è dell’estate del 2010 ed è nato da subito come libro d’artista.
purtroppo ci sono voluti quattro anni per vederlo pubblicato (nonostante il premio al FotoBookFestival Dummy Award nel 2012) e sapevo benissimo che questo avrebbe fatto perdere al lavoro un po’ della sua attualità, facendolo cadere in quello che ora consideriamo “tendenza”, ma che allora non lo era ancora, almeno non in modo così marcato.
non solo sul fronte “found pictures”, ma anche per quel che riguarda la costruzione del libro.

al di là di questo, non mi sento di condividere il tuo pessimismo sulle pratiche “riappropriative” in generale, che certo non rappresentano una novità in sé (molti gli esempi da Walker Evans a Richard Prince), ma che assumono a mio avviso un significato del tutto diverso in un momento in cui l’immagine perde la sua fisicità su carta e viene resa disponibile in rete in quantità mai immaginabili solo dieci anni fa.
certo anch’io sono critico sull’utilizzo massivo e ormai “modaiolo” di questi sistemi, oltre ogni ovvia ripetizione, come d’altronde non sono nemmeno convinto che l’unica via d’uscita sia quella estetico/contemplativa/documentaria, ma credo che si debba distinguere tra l’analisi di un comportamento sociale che investe la fotografia e la qualità dei singoli progetti, in cui ogni scelta operata trova un certo grado di efficacia, soprattutto se parliamo dell’oggetto libro.
non si tratta quindi di cavalcare la crisi, ma di usarla per interrogarci su ciò che facciamo e per immaginare prospettive future, anche assumendo il rischio dell’errore.

la tua stessa critica mi è stata mossa anche da altri colleghi, che come te vedono tutto ciò come una pericolosa deriva.
credo che le nostre posizioni su questo tema rappresentino due fronti ben presenti nella fotografia contemporanea, ognuno legato in qualche modo ad una propria idea di ciò che la Fotografia sia stata o potrà essere, ognuno con un proprio grado di conservatorismo e progressismo allo stesso tempo, quindi alla fine due facce della stessa medaglia non alternative.

continuo ad essere convinto della necessità di produrre le mie immagini, ma anche di usare il mezzo che si ritiene migliore per tradurre l’idea in progetto.
non è la prima volta che uso nei miei lavori fonti non prodotte direttamente da me, ma probabilmente questo libro mi ha dato la possibilità di sentirmi libero,
di capire finalmente che il mio interesse e la mia ricerca sono rivolti non tanto al soggetto che sto guardando o fotografando, ma piuttosto alla Fotografia, al linguaggio che sto usando.
credo che da questa presa di coscienza tutto il mio lavoro futuro non potrà che uscirne rafforzato.

ma avremo modo di parlarne anche dal vivo, prima o poi, sperando di poter sempre ricambiare la tua stima e la tua onestà intellettuale, di cui ancora ti ringrazio.

un forte abbraccio e a presto,
Andrea.

 

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