Luca Panaro – Un’apparizione di superfici

La serata di apertura del nuovo ciclo di incontri Camera con Vista, che anche quest’anno ho organizzato in collaborazione con la GAMeC di Bergamo quale docente presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo, è stato tenuta da Luca Panaro, che con il suo consueto piglio brillante e un po’ polemico ha esposto le sue idee sulle punte più recenti della ricerca fotografica, italiana ed internazionale.

Prima di dargli la parola, mi sono permesso di avvisare il pubblico (e lo faccio anche qui) che probabilmente durante questi incontri ci si sarebbe anche innervositi, perché per molti aspetti i lavori e gli artisti presentati ci avrebbero messo a disagio, mettendo in continua discussione le certezze che crediamo di avere sulla fotografia. Credo sinceramente che il nuovo secolo stia offrendo novità e difficoltà interpretative del tutto nuove, a volte scardinando – dal di dentro, ma anche accogliendo imprevisti apporti esterni – la tradizionale idea che abbiamo di fotografia. Tutto questo ciclo di incontri si è basato su questa difficoltà, sulla messa in tensione di verità che pensavamo consolidate. Devo dire che il pubblico ha reagito bene a questa prima occasione, sia seguendo con attenzione precisa le quasi due ore filate dell’intervento/lezione di Luca Panaro, sia rivolgendogli alla fine numerose domande intriganti.

Luca Panaro ha scelto di inviarmi, per questo blog, solo un breve abstract delle approfondite riflessioni del suo intervento, scelta dovuta al fatto che in questo periodo sta scrivendo intensamente proprio di questi temi – scritture delle quali speriamo di vedere presto pubblicati gli esiti. Grazie Luca!

 

CameraVistaPANARO_017A

 

Negli ultimi anni la fotografia pare avere trovato la sua vera vocazione, ormai libera dalle sovrastrutture culturali impostegli dagli stessi fotografi. A favorire questo rinnovato status del mezzo fotografico non è soltanto il digitale, con le sue caratteristiche, ma i dispositivi che lo veicolano e i comportamenti che favoriscono. Gli Smartphones in primis che mutano il nostro modo di fotografare, con riprese sempre più da vicino, come se il mezzo fosse un’estensione del nostro braccio. Le fotocamere dei telefoni, come scanner incorporati negli arti di ognuno di noi, sono un’arma sempre carica, estraibile al bisogno, capace di registrare in modo ravvicinato ciò che ci circonda.

La forma mentis sembra quindi essere quella dello scanner, dal fuoco fisso e ravvicinato, che prende il posto della più tradizionale visione prospettica dell’orizzonte. Questa pare soppiantata da una visione “da tavolo”, capace di restituire immagini più vicine al gusto di uno studio grafico che alla composizione pittorica. La fotografia scopre la bidimensionalità che da sempre la caratterizza, per troppo tempo messa a tacere dalla ricerca della terza dimensione. Il mondo in cui viviamo è fatto di dati che si leggono sugli schermi dei nostri dispositivi, visori piatti che originano fotografie piatte, a-prospettiche.

Tra gli interpreti di questo nuovo approccio alla costruzione dell’immagine, Taisuke Koyama (Tokyo, 1978) e Maxime Guyon (Lyon, 1989). Ma anche Enrico Smerilli (Vercelli, 1978) e Matteo Cremonesi (Milano, 1986), artisti italiani che ho segnalato in questa circostanza come interpreti di questa nuova iconografia che avanza.

 

Share

Bisogna imparare a pescare

Pochi giorni fa ho pubblicato sul blog un post che riproduce una mail che avevo mandato a un amico, una lista molto personale e mirata di ragioni per le quali lo definivo artista. Credo sia stata letta anche come una sorta di checklist nella quale più o meno riconoscersi (non lo era!) e mi sono arrivati, sia in via privata che sulla mia pagina facebook, alcuni commenti. Maurizio Montagna, in particolare, ha fatto due interventi (inframmezzati da una mia breve risposta) piuttosto lunghi e appassionati, che voglio riprodurre qui nel blog – sia per farli sfuggire alla dittatura divorante di facebook, che ne farebbe presto sparire la sostanza, sia perché li ritengo interessanti nel loro essere testimonianza dello stato d’animo che credo in queste fasi storiche molti fotografi condividano. È un testo scritto di getto, in sostanza più una trascrizione diretta di un flusso di pensieri che un testo limato e meditato – Maurizio Montagna è stato d’accordo nel riprodurlo così anche qui, senza particolari interventi o riscritture.

 

Le migliori “trote” che ho preso hanno abboccato con le mosche “sbagliate”, lì ho capito che spesso le regole servono per non farti pensare ed essere curioso della realtà che stai vivendo.
Nonostante questo potrei fare una lista di intendimenti per essere un buon pescatore a mosca, del tipo:
Impara a leggere il fiume, conosci perfettamente i pesci che vuoi insidiare, studia approfonditamente lo stadio vitale degli insetti, controlla con cura l’attrezzatura da pesca, cerca di avere a disposizione tutte le imitazioni possibili di insetti vivi o morti e allenati molto nel lancio e nella tecnica di recupero, ovviamente inizia a pescare ad un’ora adeguata…
…poi, ti accorgerai che nella giornata memorabile di pesca che ricorderai tutta la vita tutte le regole che ti sembravano assolutamente necessarie non ti sono servite assolutamente a nulla.

Ti sentirai un gran pescatore solo quando, comprendendolo profondamente, non sentirai necessario farlo presente ad alcuno e palesarlo con ostentazione, anzi sarà un segreto che gelosamente custodirai nel cuore, cosciente che l’avrai condiviso, con il fiume, le montagne, la trota che hai catturato alla quale poi magari hai donato la libertà…

La libertà, quindi l’amore e il rispetto per la “disciplina” artistica (la pesca a mosca è un’arte) che si sta praticando e quindi altrettanto rispetto per gli altri pescatori, prendendo coscienza che ognuno di loro un giorno o l’altro vivrà una giornata di pesca memorabile, e non saranno i nostri consigli a rendere più epica la sua esperienza e che è anzi probabile che l’imitazione che abbiamo denigrato perché non adatta al fiume, magari imperfetta nelle costruzione o non in auge con le tecniche moderne, gli regalerà le più memorabile delle catture…

Forse così si diventa pescatori a mosca…

 

Caro Maurizio, grazie di quanto scrivi, che mi ha fatto venire in mente simili analogie tra la fotografia e la pesca espresse da Stephen Shore in un testo presente in uno dei primi libri che mi abbiano influenzato davvero (Dialectical Landscapes, 1987). Qui lo si trova in inglese  – da oggi terrò vicini questi due testi… Quanto alle regole, siamo entrambi docenti dunque ne conosciamo bene le forze e le debolezze, e mi pare bello e ricco avere tanti pensieri su di esse.

 

Caro Luca, vero conosco il testo di Shore e ovviamente per più di una ragione ne sono rimasto affascinato. Ma la relazione con la pesca a mosca, mi è venuta in mente perché in una certa misura è una pratica che conosco meglio della fotografia, e se non meglio, ho iniziato a praticarla da quando avevo poco più di 12 anni.

Poco tempo fa ho letto un bel libro, A pesca nelle pozze più profonde, di Paolo Cognetti. Il giovane scrittore scrive : «A un certo punto del mio apprendistato mi misi in testa che, se volevo diventare un bravo scrittore di racconti, dovevo imparare a pescare», il libro si articola in tre parti; nella prima, in particolare, trova e motiva delle interessanti analogie tra il pescatore a mosca e lo scrittore di racconti. Da questo libro, e da come tratta le ragioni della sua scelta di diventare un pescatore a mosca, Cognetti mi ha fatto meglio comprendere le ragioni della mia passione per la fotografia attraverso dei parallelismi e delle riflessioni veramente acute e divertenti.

Io di sicuro non sono un “grande” pescatore a mosca, e non tanto per la mancanza di passione o di sensibilità o talento, ma perché negli ultimi anni ho diminuito molto la frequentazioni  di fiumi e torrenti, e questo tipo di pesca ha sicuramente bisogno di un minimo di continuità nella sua pratica, la natura è viva si muove, racconta sempre cose diverse, anche se non sembra, bisogna stare “aggiornati”…
Magari chi sta leggendo questi “post” sorriderà, ma se oltre che qualche fotografo, ci fosse anche qualche “moscaiolo” di quelli seri, potrebbe entusiasmarsi con le mie riflessioni.

La pesca, ovviamente non è una pratica prettamente ludica, lo è diventata nei secoli, per me è stata ragione di vita, da poco più che bambino fino ad oggi vado in visibilio già al solo pensare il corso d’acqua che mi vedrà in azione nella battuta di pesca, immaginandone i tratti:  lame di corrente veloce, cascate e pozze, dove le possibili prede sono ben mimetizzate aspettando con il muso verso la corrente insetti e altri animaletti da predare….

Definirei con il termine PASSIONE questo mio stato d’estasi, che ovviamente con gli anni forse ha perso quella parte sognatrice e immaginifica della giovane età, ma certo, come un grande amore, è rimasto un solco profondo nelle mia esistenza, e quando vedo l’acqua entro in un altro mondo.

Ora, non mi spingo in  complesse relazioni tra la pesca a mosca e la  fotografia e se legami fossero presenti, potrebbero essere vicende che appartengono alla stretta sfera personale o ancora meglio sensoriale; certo non posso negare che ci siano una o più similitudini quando mi presto a fermare la mia attenzione su un possibile soggetto o su una possibile preda.

Per quanto  mi riguarda trovo che il senso della posizione al fine di trovarsi in un punto privilegiato nei confronti della preda/soggetto, la relazione con il “tempo” o meglio l’attimo, e l’ovvia sorpresa del risultato dell’azione che abbiamo messo in atto, sono le azioni che accomunano in maniera molto semplificata le due azioni…

Ecco cosa forse cos’è la parte artistica  della fotografia, quella “vicenda” esperienziale che purtroppo si sta perdendo per colpa in primis dei fotografi/artisti (definizione  terribile) e poi di chi se ne occupa più o meno in maniera  diretta; per esperienziale intendo la relazione con la realtà con il fatto fisicamente di “esserci” dentro le proprie fotografie, e di cercare di non solo comprendere il soggetto, ma di definirlo con un approccio che non debba mettere a repentaglio il fatto stesso di fotografare.

Molto più facile e “glamour”, per fare un esempio, pensare che la fotografia possa essere “tratta” da photo editor di lusso, magari colti e e snob, dove la realtà, quella del “è stato” è stata “risignificata” da un’azione  molto spesso di una banalità inaudita: prelevarla dalla “rete” o da un archivio… che tristezza, o meglio che pochezza, e quanto poco dureranno i risultati prodotti da quella che per altro non è neanche un azione  così innovativa…
Tuttavia con questa “modesta” operazione, questi personaggi si spogliano dello scomodo appellativo di fotografo, e diventano magicamente artisti… ed ecco che torniamo al tuo catalogo comportamentale…:), nella tua descrizione, ci sono alcune azioni/condizioni  totalmente assenti negli  “artisti” menzionati.

Chi è un artista? Può, un artista lavorare con la realtà? Quale è il senso di questa operazione, quando il mondo “colto” dell’arte non ha ancora capito, non cos’è una fotografia (anche su questo ho qualche dubbio) , ma cosa vuole dire FOTOGRAFARE?

Beh, sai cosa caro Luca,  sicuramente si può produrre un buon progetto fotografico con l’iPhone, e se si ha talento, intelligenza e si ha ovviamente capito che dare senso alla realtà non è fare un semplice fotografia, dare senso ad una fotografia vuole dire cercare un’immagine, creando relazioni tra forma, significato, e soprattutto che sia decodificabile nel tempo, come le immagini che ci hanno preceduto sulle quali forse dovremmo riflettere ancora.

Siamo partiti dalla pesca a mosca e con questa vorrei chiudere ricordandoti che se vai sul torrente, senza un briciolo  di esperienza, senza anni di lanci e recuperi, senza saper leggere un fiume… ti conviene andare in pescheria, dove puoi catturare tutti i pesci che vuoi  proprio “come in/nella rete” ma non sarai mai un pescatore a mosca, perché  i pesci che prendi sono “MORTI” e pescati da qualcun  altro e al limite li puoi fare al forno… auspicando almeno un minimo  di coraggio e talento tra i fornelli…

 

Share

Perché sei un artista

Qualche tempo fa ho scritto una lista, diciamo così, motivazionale a un amico. La pubblico qui, pensando che possa essere utile – magari anche in contrasto rispetto alle posizioni e convinzioni di ognuno – a riflettere su quello che siamo e facciamo. È anche una lista potenzialmente infinita, alla quale ognuno tra sé e sé può aggiungere o togliere voci.

 

Da: Luca Andreoni <luca@lucandreoni.com>
Data: 08 aprile 2015 15.42.36 GMT+02.00
A:
Oggetto: La lista del perché sei un artista

Prima di tutto: non mi sono messo a spiegare diffusamente ogni punto con esempi o altro perché ne sarebbe venuta una mail chilometrica di quelle che spaventano. E rileggendo vedo che anche così non scherza, quanto a lunghezza.
Poi: ci sono molte singole voci nelle quali quasi qualunque persona può riconoscersi – ma pochissime persone, tienilo presente, hanno queste caratteristiche tutte insieme. Prova ad applicare questa lista ad altre persone che conosci e te ne accorgerai subito. Le metto come vengono, in ordine sparso, ovviamente alcune sono più importanti e altre più leggere. Se vuoi che io ne argomenti alcune in modo più chiaro e con esempi di cose che ti ho visto fare posso farlo…

– sei ostinatamente curioso, hai lo stupore e lo coltivi
– sei molto molto molto intelligente
– sei molto onesto con te e con gli altri
– ti piace cucinare
– ti piace studiare, leggere, imparare cose nuove
– sei dotato per le lingue
– sai guardare alla realtà spogliandola, a volte anche crudamente ma con una tua modalità tutta tua
– hai intuizioni sulla parte nascosta delle cose, delle persone, del mondo
– hai il senso del colore e delle proporzioni e delle forme e della bidimensionalità
– hai la voglia, anzi la necessità, di trasferire in qualcosa di concreto i tuoi pensieri
– hai la capacità di covare a lungo un’idea e poi di realizzarla
– fai esperimenti
– sai aspettare e poi agire
– sei estremamente sensibile
– hai sofferto molto, e lo travasi nel tuo lavoro
– fare arte ti salva la vita (almeno un po’), non è (solo) un divertimento o uno svago
– puoi sembrare lentissimo e quasi bloccato ma a un certo punto tutto scatta in avanti
– vedi collegamenti dove altri non possono vederli
– sai istintivamente quando fermarti
– in parecchie cose sei un po’ disadattato nel mondo normale, un po’ lo nascondi un po’ lo vanti
– soffri un po’ di sentirti diverso
– sei diverso ma ne sei anche orgoglioso
– a volte ti fissi su qualcosa in modo quasi maniacale e ci stai sopra un sacco di tempo
– sono poche le persone con le quali riesci davvero ad avere a che fare
– di ogni persona sai beccare in fretta il lato buono e quello pericoloso
– non sei particolarmente interessato al denaro
– riesci a mettere a disposizione degli altri i tuoi risultati
– hai certezze forti, ma le sai mettere in discussione
– hai incertezze forti, ma le sai far tacere quando è il momento
– vuoi bene al mondo tutto, e ti fanno soffrire o arrabbiare le sue contraddizioni
– sai coltivare la tua solitudine intellettuale e sai trovare da solo gli slanci per proseguire
– sei molto empatico, perfino verso gli oggetti
– i tuoi lavori mostrano una crescita progressiva, che indica il tuo spirito di ricerca continua
– sei tendenzialmente perfezionista e dunque anche il più feroce critico di te stesso
– per certi versi ti senti inadeguato, per altri sei davvero a tuo agio
– sai bene che la tecnica può essere una tua arma decisiva
– tieni molto al tuo prestigio, dunque sei attento a quello che comunichi (variante del perfezionismo)
– sai lavorare duro per raggiungere quello che un’intuizione ti ha consigliato
– sai restare ostinatamente sul pezzo
– certe cose le vuoi e devi davvero dire: hai qualcosa da dire e la tua arte ti permette di farlo
– sei unico.

Mi fermo qui ma presto mi verrà in mente altro, lo so.
(non ci pensavo ma, mi rendo conto rileggendo, questa lista è per me anche un po’ un’autobiografia…)
Non in tutto, ci mancherebbe, ma in molte cose sì.

Ciao
Luca

 

Share

Quanta resistenza fai per non esserlo

Il giorno dopo l’intervento di Vittore Fossati del quale ho pubblicato ieri un suo testo ho ricevuto questa splendida email da Francesco Pedrini, collega in Accademia a Bergamo che, oltre che bravo artista, è persona gentile e intelligente. Ho pensato subito che sarebbe stato bello pubblicarla a ruota del testo di Vittore e Francesco ha acconsentito. Credo che in questo testo vi sia tutta l’emozione e la profondità che sono fluttuate nell’aria quella sera.

Vittore Fossati Oviglio 1981

Vittore Fossati, Oviglio 1981

 

Da: francesco pedrini <info@francescopedrini.me>
Data: 08 maggio 2015 11.16.01 GMT+02.00
A: Luca Andreoni <luca@lucandreoni.com>
Oggetto: Vittore conferenza

Ciao Luca, scrivo per ringraziarti.
Sono anni che ascolto interventi e conferenze ma ieri è stata proprio una esperienza di profondità.
Vittore tra il serio e il faceto, ha punto e punzecchiato, ma direi pure travolto i miei stati d’animo nei confronti dell’essere artista. Ho subito una serie di leve emozionali spiazzanti.
Ti prego di non credere che io sia sprovveduto, o che sia una fascinazione da “groupie”, ma sono abituato a portare al punto critico ogni discorso e con Vittore ne ho fatto forte esercizio.
Per assurdo non è stato un incontro sulla fotografia ma sul processo mentale che ti sfinisce prima di scattare la fotografia. Chiunque ci abbia giocato la vita questo lo sa. Anche il ritmo della conferenza è stato questo, centinaia di sollecitazioni stupende, vaghe, poi precise e poi click, lo scatto. Sembrava di essere nella sua testa durante un progetto artistico. Ebbene sì, la fotografia è cosa mentale quando hai gli strumenti…
Vittore ieri si è esposto enormemente, si è presentato armato di mille dispositivi teorici ma li ha deposti e si è messo a nudo, coscientemente e forse tatticamente, comunque sia ha vinto lui.
La fotografia non è questo? Ti armi di cose, strumenti, pensieri, teorie, suggestioni filosofiche e storiche; una specie di “noise” interiore e poi ti ritrovi con “solo un occhio” dentro un mirino e il mondo fuori (window) e click un istante.
Se la filosofia come l’arte ha il compito di agitare ambiti ieri è accaduto.
Come non emozionarsi quando Vittore dice che fa fotografie per riconoscenza a Ghirri, il quale una sera negli anni settanta lo ha chiamato dalla lattaia per invitarlo ad una mostra e lui non aveva nemmeno finito il suo primo rullino a colori. Chissà poi se la lattaia aveva le tette grosse come la tabaccaia di Fellini. Ma comunque, trovare un artista che si fa canale per passare informazioni, non mettendosi mai in prima persona persino quando mostra le proprie fotografie è disincanto, forse tecnica comunicativa, ma in realtà è semplicemente amore disinteressato per ciò che fai. Cosa dimostra che sei veramente un artista? Quanta resistenza fai per non esserlo.
Vittore è un perito aeronautico, difatti fotografa arcobaleni, Ghirri era un geometra e infatti fotografava gli Atlanti. Tu Luca sei il ghiaccio, si vede e si sente, ma il ghiaccio è acqua, conduttore per eccellenza.
Avrei voluto fargli mille domande ma odio chi fa domande alle conferenze, perché ad un vulcano che erutta non si fanno domande, ci si siede, si guarda, si ascolta e si vacilla possibilmente senza troppi click…

ciao, un forte abbraccio

francesco pedrini

 

Share

Vittore Fossati – L’otto rovesciato

Ho ricevuto questo testo da Vittore Fossati pochi giorni fa, dopo il suo intervento a Bergamo negli incontri GAMeC sui rapporti tra fotografia e arte. Fossati nell’incontro è stato assolutamente generoso, perché ha incrociato una forte componente analitica, saggistica, con lo svelamento profondo ed emozionante dei propri percorsi mentali mentre realizza le sue fotografie. Non mi so spiegare del tutto come gli sia stato possibile tenere così bene insieme questi due aspetti così diversi, ma credo che questo testo in qualche modo lo possa fare intuire.
Il testo che potete leggere qui sotto è la revisione degli appunti di un discorso da lui tenuto in occasione della giornata di studio Come pensare per immagini? Luigi Ghirri e la fotografia, svoltosi alla British School at Rome il 9 ottobre 2013 – ma è anche vicino, per intensità e contenuti, alla lezione che ha appena tenuto a Bergamo.

Sono particolarmente orgoglioso di proporvelo in questo blog, per varie ragioni: la prima è che è molto raro che un autore ci apra, diciamo così, le porte sui suoi meccanismi più profondi e sui pensieri che intervengono mentre lavora. La seconda è che Vittore Fossati è una figura tanto grande quanto schiva nel panorama della fotografia italiana. Tra me e me lo definisco un minimizzatore: del suo ruolo e del suo lavoro – mentre anche solo questo testo ci dimostra perfettamente il contrario. La terza ragione sta nella rarità della sua presenza nel web, così come della rarità in generale di suoi testi (cosa quest’ultima che lo accumuna purtroppo a molti altri). Ve ne sarebbero altre, di ragioni: ma mi fermo qui e vi lascio a questo eccezionale contributo.

 

Vittore Fossati

 

L’otto rovesciato
Appunti per un’idea di infinito nell’opera e nella vita di Luigi e Paola Ghirri

La parola infinito compare molte volte come concetto, titolo, evocazione poetica, a volte anche nel lavoro quotidiano di Luigi e Paola Ghirri.
Un’opera di Ghirri s’intitola Infinito ma poi, ad esempio, avevano scelto il nome di infinito per il loro studio di grafica e fotografia negli anni in cui hanno abitato a Formigine.
Tra l’altro, i simboli della messa a fuoco usati come fregio per il biglietto da visita sono stati riprodotti anche nel libro, che rende loro omaggio: Fin dove può arrivare l’infinito che deve il titolo a quello del testo di Giorgio Messori – scritto del 1992 -, originariamente pubblicato nel primo catalogo realizzato dopo la morte di Ghirri e cioè Vista con camera, curato da Paola e da Ennery Taramelli la quale, peraltro, ha intitolato un suo saggio Mondi infiniti di Luigi Ghirri.
Il mio contributo inizia dunque così e continuerà per una decina di minuti fra ricordi e divagazioni.

L’otto rovesciato
Paola mi aveva raccontato che durante le esequie di Luigi nella chiesetta di Roncocesi lei era seduta in un banco che portava un numero, l’otto, scritto su una targhetta. Durante la cerimonia questa targhetta, alla quale evidentemente già mancava uno dei due chiodini che la fissavano, era ruotata di 90° finendo per indicare così un otto rovesciato, il simbolo dell’infinito.
Paola credeva molto a questi accadimenti, al manifestarsi di queste coincidenze.
Comunque, fatto sta che Paola è mancata il giorno 8 e la sorella, interpretando quello che forse sarebbe stato un suo desiderio, volle che il funerale avvenisse l’11 novembre e quindi l’11/11/2011.
11-11-11. Un numero palindromo che, appunto, può essere letto in un senso o nell’altro. Né capo né coda, né inizio né fine che, proprio come il nastro di Moebius, può essere letto o, per meglio dire percorso all’infinito.
Come si ricorderà, nel luglio 2011 un incendio sviluppatosi nel sottotetto aveva devastato la casa di Roncocesi. Paola si era trasferita in un’altra abitazione e poi, dopo circa quattro mesi, moriva.

Dicembre 2011
Daniele De Lonti, Gianni Leone, io e Beppe Sebaste, temendo una radicale trasformazione (poi per fortuna non è stato così), siamo entrati nella casa di cui eravamo stati tante volte ospiti per raccontare il nostro commosso legame con gli oggetti e le memorie di un luogo, l’ultima casa abitata da  Luigi e Paola.
Muratori e carpentieri avevano iniziato il lavoro di ripristino. Mobili, libri, dischi in gran parte ammassati nelle stanze inferiori. Alle pareti umidità e muffa provocata dall’acqua per lo spegnimento dell’incendio. Freddo. Buio. I ponteggi all’esterno impedivano l’apertura degli scuri. Molte foto sono state fatte con l’ausilio di una lampada che ci portavamo dietro da una stanza all’altra, da un piano all’altro.
Ovunque, come si può immaginare, disordine e polvere. Polvere. Una volta, alla radio, ho sentito il filologo Giovanni Semerano che diceva che la parola infinito deriva da quella accadica che significa polvere. Adesso ne ero ancora più convinto.
Inizio a fotografare. Sono nello studio al piano terra. Prendo una piccola scatola rossa, che spunta da una pila di libri. La poso sull’impolverato tavolo color verde penicillina, al quale Paola era solita sedersi per lavorare all’impaginazione dei libri. Disfo il nodo di stoffa nera che la teneva chiusa. Il nastro cadendo sul tavolo forma, con la sua ombra, la figura dell’otto. Paola, che compare nella prima foto della scatola, sembra guardarlo. Faccio questa fotografia tra la sorpresa e il turbamento.

Vittore Fossati, Nastro

Mi sposto nel corridoio. Sullo scaffale vedo un altro otto. Questa volta si tratta di un numero dipinto su una piastrella di ceramica, quelle dei numeri civici. Accanto trovo una cartolina che, muovendola, e a seconda di come la si tiene inclinata, mostra tre fasi di un’eclissi di sole. La fotografo nelle tre posizioni e più che un’eclissi adesso mi sembra il triste racconto di uno spegnimento.

Vittore Fossati, eclissi 1

Vittore Fossati, eclissi 2

Vittore Fossati, eclissi 3

 

L’infinito
La parola fa venire subito in mente il canto più noto di Leopardi. In questo canto l’infinito viene detto tramite continue comparazioni tra il vicino e il lontano, tra ciò che ci è prossimo, che appartiene al finito, alla finitudine della condizione umana e ciò che è distante, che sta all’infinito, e che appartiene all’orizzonte dell’incommensurabile.
Dunque, Il questo e il quello:

[…] a questa siepe…
… interminati spazi di là da quella
E come il vento odo stormire
Tra queste piante
Io quello infinito silenzio
A questa voce vo comparando…

Ora mostro la copertina di un libro di racconti di Antonio Prete (pubblicato nel 2000) il quale, tra l’altro, si è anche molto occupato di Leopardi, scrivendo bellissimi saggi.

GHIRRI COPERTINA

Il racconto che apre il volume è dedicato alla figura di Giuseppe da Copertino, un frate vissuto nel ‘600, famoso per i suoi “voli”. Le cronache raccontano che durante l’estasi si sollevasse da terra. E insomma, per farla breve, per le sue virtù e devozione venne ammesso senza esami al sacerdozio.
Ma chissà perché proprio questa foto per questa copertina.
L’avevo chiesto a Paola e mi rispose che era del tutto casuale, si era trattato, come in molti casi, di una scelta redazionale.
Copertina / Copertino (un gioco di parole che sarebbe piaciuto a Ghirri)
Paola, a proposito di Copertino, mi disse che quando, durante un viaggio in Puglia Luigi si imbattè nel nome di questa località e lesse anche l’indicazione di un santuario dedicato a questo san Giuseppe esclamò: «ma allora è vero… allora esiste per davvero» e raccontò a Paola che sua madre, quando Luigi frequentava le elementari, gli aveva messo in un quaderno un’immaginetta di questo santo perché, almeno ancora in quegli anni, era credenza che san Giuseppe da Copertino proteggesse i bambini che non andavano troppo bene a scuola. Paola aveva detto «quelli un po’ asini».
Dunque, il racconto di Prete sulla visionarietà di questo mistico s’intitola Portenti di fra Giuseppe da Copertino ed inizia così:
«Giuseppe Boccaperta lo chiamavano, perché era sempre incantato, sempre con la bocca spalancata per la meraviglia, che cosa vedi? gli chiedevano, che cosa vedi, Giuseppe?…»
Noi invece adesso potremmo chiederci, a proposito di questa fotografia, cosa vedeva Luigi.
La foto mostra un gioco per bambini, un’altalena come tante su una spiaggia della riviera adriatica. È una foto molto semplice, apparentemente forse anche banale. Però Luigi qualcosa aveva intravisto e curando la distanza di ripresa fa in modo che gli anelli che pendono dal braccio sinistro della struttura sfiorino, indichino, la prossimità del finito, la linea che separa la terra dal mare, mentre quelli che scendono dall’altro braccio, tocchino la linea dell’orizzonte che separa il mare dal cielo. Ghirri sostituisce la siepe leopardiana con un’altalena che appunto, ci suggerisce – visivamente – l’altalenanza tra il questo e il quello, tra ciò che sembra poter appartenere al vicino, alla nostra possibilità di conoscenza sensibile e ciò che invece rimarrà sempre lontano – allontanato all’infinito – su un vago orizzonte.

Ancora una fotografia di Ghirri (Trani, 1982)

Luigi Ghirri Trani 1982

Peter Handke nel suo libro Nei colori del giorno, dedicato all’esplorazione di uno dei luoghi della pittura di Cézanne, la montagna Sainte-Victoire, racconta che, a un certo punto, scendendo da un sentiero, lancia una mela per aria, la riagguanta e dice di aver fatto questo per legarsi al paesaggio.
La foto mostra un’anfora collocata come decoro sulla balaustra di un tratto del lungomare di Trani. Al centro della foto non c’è l’anfora ma la linea mediana tra l’anfora e l’ombra dei rami di un albero; ombra analoga per forma a quella dell’anfora. Ghirri si lega al paesaggio in questo modo, unisce il questo al quello, adottando inoltre un punto di ripresa che gli permette di far collimare, di sovrapporre la linea obliqua del profilo della nuvola con quella che separa – per il diverso colore – la superficie dell’anfora: è una sorta di trompe-l’oeil che attira  lo sguardo verso una lontananza infinita.
Molte foto di Ghirri ci mostrano quello che c’è, quello che si vede più qualcos’altro.
Edward Weston, in una pagina del suo diario annotava: «ho fatto la fotografia di un tronco di una palma: è la fotografia di un tronco d’albero più qualcos’altro. Non so cosa darei perché qualcuno mi dicesse cos’è questo qualcos’altro…».

Novembre 2010
Io e Paola siamo stati a Bari per la presentazione del libro di Gianni Leone e stiamo tornando a Bologna con l’aereo.
Le nuvole sono sotto di noi. Adesso per guardare il cielo, le nuvole, dobbiamo guardare in basso e non in alto. Il punto di vista si è rovesciato.
Mi faccio dare i suoi occhiali, li appoggio al finestrino e faccio una foto.

Vittore Fossati, Occhiali Paola

Gliela mostro nel display e le chiedo: «chissà cosa può unire la parola otto alla parola ottica
Paola guarda la foto. Sorride.

 

 

Share

Il sito utilizza cookie proprietari tecnici e consente l'installazione di cookie di terze parti. I cookie non sono utilizzati dal sito per fini di profilazione. Cliccando su OK o continuando la navigazione, l'utente accetta l'utilizzo dei cookie di terze parti. Per maggiori informazioni, è possibile consultare l'informativa completa

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi